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domenica 29 dicembre 2013

LICENZIATO, INVESTE E RIASSUME I SUOI COLLEGHI

Quando lo ha detto a sua moglie la reazione è stata… beh, un respiro di sollievo. “Mi ha sempre appoggiato, se è andata come è andata è anche grazie a lei” racconta Enzo. Certo dare in pegno la propria casa, i risparmi di una vita e il futuro di un figlio di 5 anni per salvare l’azienda per cui si è lavorato – e da cui si è stati licenziati, assieme ad altri 300 dipendenti – diciamolo: quanti ne avrebbero il coraggio? Quanti non si farebbero trattenere dallo sdegno (giustissimo) davanti a un rimedio che riassume in sé tutta l’iniquità della crisi?
Ma lui, Enzo Muscia, ex responsabile commerciale della Anovo Italia di Saronno, non ha voluto sentire storie.  Sapeva che l’azienda – anche se i vertici dell’omonimo colosso (in Francia) avevano deciso di smontare le tende -  era sana. Che i clienti c’erano, il know how pure: la questione era farlo capire agli altri. Così dopo il fallimento Enzo ha provato a rifare tutto da capo. Ora è lui il titolare della “nuova” Anovo: ha ridato il lavoro a una ventina di colleghi (come lui lasciati a casa dopo la chiusura nel 2011) e ri-aperto i battenti in barba all’indifferenza generale.
“Non è stato facile, le banche non ci credevano, le abbiamo girate tutte ma finanziamenti zero” ricorda Enzo. “L’unica soluzione è stata dare in pegno le nostre abitazioni. Solo così io e Fabrizio Masciocchi, anche lui un ex dipendente Anovo, siamo riusciti a mettere insieme i soldi necessari a ricomprare le attrezzature, ottenere le certificazioni e riaprire la sede operativa”.  
Per fortuna tutto è andato per il verso giusto. In un anno la Anovo Srl ha triplicato i dipendenti (da 11 a 36) e nel 2014 dovrebbe raddoppiare il fatturato: questo grazie a vecchi clienti che hanno creduto nel progetto, come la Fimi Barco di Saronno, azienda specializzata in display medicali; e grazie a due importanti bandi che la Anovo si è aggiudicata “andando a caccia di clienti ogni giorno, senza mai smettere di cercare lavoro” spiega Enzo.
Un caso unico? Neanche poi tanto. In Italia i “workers buyout”, casi di dipendenti che investono il Tfr per rilevare l’azienda in cui lavorano, sono aumentati a un ritmo di circa il 50% l’anno dal 2008 a oggi. Anche ricorrere al pegno personale per salvare la propria azienda è “una pratica tutt’altro che rara” spiega Sergio Cavagna del Monte dei Pegni Ubi di Milano.
“Sempre più spesso viene da noi il piccolo imprenditore che per pagare i dipendenti a fine mese è pronto a impegnare i propri beni, siano gioielli o oggetti preziosi”. Certo pignorare una casa – la propria – in nome dell’azienda è un’altra storia. Tanto più se a farlo non è il titolare bensì un dipendente. Ma come dice Enzo “non puoi sperare che una banca ti dia un centesimo se non sei disposto a dare tutto: non di questi tempi”. E’ proprio il caso, quindi, di tirare un sospiro di sollievo.

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